Martedì 5 luglio 2016, (ft.@WSM/Colman)
Il Grimaldi Forum accoglie una grande mostra di Francis Bacon (1909-1992) curata da Martin Harrison, autore del catalogo ragionato dell’artista, e realizzata da The Estate of Francis Bacon di Londra in collaborazione la Francis Bacon MB Art Foundation di Monaco Sessanta opere del pittore, nato a Dublino da genitori inglesi, giunte da musei – tra cui la Tate Britain di Londra e il Centre Pompidou di Parigi – e da collezioni private, ricostruiranno una personalità artistica tra le più suggestive e controverse del Novecento, a partire dalle influenze che sul suo lavoro hanno avuto maestri quali Giacometti, Soutine e i protagonisti della pittura francese: Toulouse-Lautrec, Degas, Manet, Van Gogh e Picasso. Il pittore, che dichiara: “di tutti i paesi che conosco quello che preferisco è la Francia”, dopo aver abitato a Parigi dal 1927 al 1929 – è qui che venendo in contatto con l’opera di Picasso, matura la decisione di diventare pittore – dopo un periodo trascorso a Londra, vive nel Principato di Monaco dal 1946 al 1950. Se spesso è una piega del destino a influenzare scelte che potranno diventare sostanziali nella vita di un individuo, nel percorso artistico di Bacon il caso svolge un ruolo fondamentale: grande bevitore, appassionato di gioco d’azzardo e frequentatore abituale del Casinò monegasco – “potevo andar là alle dieci di mattina e venir via alle quattro del mattino dopo” – quando perde tutto al gioco, è per mancanza di mezzi che si vede costretto a utilizzare per i dipinti il retro delle tele già usate. L’espediente diviene in seguito imprescindibile scelta operativa per fissare il colore, con segno indelebile, nella texture grezza della parte non trattata del supporto. Prestigiose mostre consacrano il suo cammino d’artista, alla Tate di Londra (1962, 1985), al Guggenheim (1968) e al Metropolitan di New York (1975), al Grand Palais a Parigi (1971) e al Museo Nazionale d’Arte Moderna di Tokio (1983).Autodidatta, scopre nel fare la sua personale tecnica. Pittore figurativo, crede non sia più possibile limitarsi all’illustrazione dopo l’avvento della fotografia e del cinema; le sue immagini, quindi, vogliono essere un concentrato di realtà e una sorta di stenografia di sensazioni. Sono corpi rappresentati nella loro natura animale, isolati e immobilizzati in spazi angusti e scuri, in un caos profondamente ordinato. In mostra, all’interno di una scenografia, ideata dal curatore Harrison e realizzata dal Bureau d’Etudes et de Design Grimaldi Forum, che si rifà agli allestimenti scenici di Adolphe Appia e Gordon Craig, Bacon, che ha spesso affermato: “la carne è un soggetto davvero meraviglioso da dipingere”, appare all’inizio del percorso in una foto con carni squartate di animali da macelleria, una sorta di crocifissione che denuncia subito la temperatura emotiva dell’esposizione. Dall’urlo, declinato in modi diversi, ai ritratti degli amici e della gente incontrata nei bar, figurazioni che nulla concedono al piacevole, la mostra di Monaco conduce il visitatore ad attraversare il mondo pittorico di Bacon fatto di uomini (ama rappresentare principalmente corpi maschili) in carne, ossa e sangue, figure avvitate e contorte, trattate quali fossero forme organiche dagli incerti contorni, realizzate con macchie, grumi, graffi, cancellature, segni di angoscia che si fanno forma. Bacon ricerca la somiglianza al di là dell’apparenza. Ricrea con la pittura la realtà di un’immagine che lo colpisce, lascia agire il caso: “getto sulla tela un’incredibile quantità di colore e aspetto di vedere cosa succede”, ne nascono presenze cromatiche aggressive quanto impotenti, che non raccontano storie.Sappiamo che Van Gogh non si era mai affrancato dal pensiero che i suoi quadri non piacessero; Bacon, che ha una venerazione per Van Gogh, riconosce che le sue figure possono facilmente suscitare orrore e confessa: “Voglio scioccare me stesso quando dipingo, lo shock visivo è una forma di espressione”. Afferma quindi: “Sono sinceramente felice che il mio lavoro non piaccia a tutti... mi fa più piacere sapere che ci sia gente che odia il mio lavoro, vuol dire che c’è qualcosa nella mia opera che fa discutere!”.